Ecco gli obiettivi di Israele in caso di attacco all’Iran

Dopo l’attacco con droni e missili dell’Iran di ieri, ritorsione per il raid all’ambasciata della Repubblica islamica a Damasco, ora Israele e il premier Benjamin Netanyahu sembrano intenzionati a voler condurre un’operazione militare di rappresaglia. Anche se non immediatamente, per non irretire ulteriormente il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, contrario a un nuovo attacco israeliano. La tensione in Medio Oriente resta particolarmente alta, anche se all’Onu l’Iran ha definito la questionechiusa”.

Gli obiettivi a cui Israele potrebbe guardare per una ritorsione sono tre: un attacco ai gruppi filoiraniani, come Hezbollah in Libano; un bombardamento al Ministero della Difesa di Teheran, con missili lanciati dai sottomarini israeliani; infine, il più ambizioso, un attacco al programma atomico dell’Iran.

I siti atomici iraniani sono stati costruiti a 80 metri di profondità; pertanto, servirebbero delle bombe bunker buster da 13 tonnellate, che nemmeno l’ex presidente statunitense Donald Trump accettò di fornire a Israele. I siti principali sono quattro: Isfahan, Natanz, Fordo e Arak. Il primo è un impianto industriale in cui l’uranio viene convertito in esafluoruro di uranio, per renderne più facile l’arricchimento, mentre gli altri siti, tranne parzialmente Arak, hanno difese naturali più difficili da superare. Per condurre un attacco del genere servirebbe la collaborazione degli Stati Uniti, che però non sembrano per nulla intenzionati a procedere. Senza contare che, comunque, i risultati non sarebbero garantiti. Per questo Tel Aviv starebbe vagliando altre ipotesi, come quella di raid aerei contro le basi dei Guardiani della Rivoluzione, o contro le industrie belliche, oppure un attacco al Ministero della Difesa nella capitale iraniana, utilizzando missili a lungo raggio e sottomarini. Infine, sul tavolo c’è anche la possibilità di un attacco a Hezbollah: militarmente è l’obiettivo più facile, ma difficilmente l’opinione pubblica potrebbe percepirlo come una rappresaglia nei confronti dell’Iran.

Il premier israeliano Netanyahu potrebbe comportarsi come fatto negli ultimi mesi, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ovvero procedere con un attacco, senza avvisare gli alleati, che messi dinnanzi al fatto compiuto non potrebbero far altro che sostenerlo. Nondimeno, Netanyahu è consapevole che nel Paese il sostegno nei suoi confronti è sempre più cedevole, con i sondaggi che lo danno sconfitto alle prossime elezioni contro Binyamin Gantz. E a livello internazionale le cose non vanno meglio, con i rapporti con gli Stati Uniti da tempo incrinati. Tant’è, nonostante le velleità di Tel Aviv, Washington sta cercando con ogni mezzo di fermare l’escalation. Così come Arabia Saudita e i Paesi del Golfo.

Dal giorno dell’attacco all’ambasciata iraniana, Netanyahu non ha praticamente lasciato il bunker antinucleare in cui si è rifugiato. Il suo isolamento personale è il riflesso di un isolamento politico interno ed estero sempre più marcato. Il rischio è che con il suo agire Netanyahu finisca per isolare anche Israele.

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