Tra debiti e scandali, un disastro chiamato Barcellona

Il Barcellona vive uno dei momenti più drammatici della sua storia. Certamente il più difficile sul piano economico-finanziario.

Eppure, s’insiste a narrarlo come un esempio di democrazia calcistica, di partecipazione. E c’è imperterrito chi alimenta l’equivoco per cui il club blaugrana sarebbe un emblema di azionariato popolare. Quanto di più distante dalla realtà: i soci, non azionisti, del Barcellona possono eleggere il presidente, ma fra una tornata elettorale e l’altra hanno scarsissimo margine per incidere sul modo in cui il club viene governato. E ciò è dimostrato dalla sequenza di scandali che hanno macchiato gli anni più recenti e trascinato nel fango gli ultimi due presidenti, Sandro Rosell e Josep Maria Bartomeu, in carica prima del ritornante Joan Laporta, che a sua volta presenta un curriculum non impeccabile.

Ma soprattutto c’è che, da quando questo degrado finanziario e morale è iniziato, non vi è stato il minimo cenno di controtendenza. Tutti coloro che si sono alternati alla guida del club hanno fatto peggio dei predecessori. E intanto la società veniva associata, di volta in volta, al pasticcio della Superlega, così come alle presunte corruzioni arbitrali, a casi di spionaggio privato, a rapporti troppo promiscui coi super agenti.

Si deve partire da un dato: 1 miliardo e 350 milioni di euro. È il debito cumulato dal Barcellona alla data di giugno 2023. A darne notizia è stato Eduard Romeu, vicepresidente del club con delega agli affari economici. Questa montagna debitoria è frutto di una spesa fuori controllo, tipica di un’azienda entrata in una mentalità da too big to fail. Adesso è il debito a essere diventato too big e basta. Talmente esorbitante da non fare intravedere vie d’uscita. A questa massa debitoria contribuisce un foglio salariale che alla vocecalciatoriregistra cifre da corporation globale: 625 milioni di euro.

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