Il Sudan tra carri armati, saccheggi e blackout

Carri armati nelle strade, negozi e stazioni di benzina saccheggiate e fragore di colpi d’arma da fuoco: appare così la capitale Khartoum. Chi può dunque cerca di lasciare la capitale o il Paese, stranieri compresi.

Sono sempre più frequenti i blackout elettrici e delle comunicazioni, così come non è garantito l’accesso all’acqua potabile. Si riporta, inoltre, che la paralisi delle attività commerciali sta lasciando vuoti gli scaffali dei supermercati, con denunce di saccheggi e furti. Secondo le Nazioni Unite sono oltre 400 i morti e 3.700 i feriti tra i civili coinvolti da dieci giorni nelle ostilità tra i militari fedeli al generale Abdel-Fattah Burhan e il leader dei paramilitari delle Forze di supporto rapido, Mohammed Hamdan Dagalo, che si contendono il controllo delle risorse economiche e militari del Paese.

Oltre a lasciare la capitale, epicentro dei combattimenti, migliaia di sudanesi cercano di fuggire anche nei Paesi vicini, in particolare il Ciad, subendo a loro volta attacchi di cui si accusano reciprocamente i due attori in guerra. La situazione umanitaria resta altamente incerta, come avvertono anche le organizzazioni umanitarie nel Paese, tra cui Emergency e Save the Children, secondo cui il Sudan già conta 2,7 milioni di bambini malnutriti, e 522mila che soffrono di malnutrizione acuta grave.

Data la gravità della situazione, le autorità di tanti Paesi, tra cui Italia, Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi e Canada, sono già riuscite a evacuare dal Sudan i propri connazionali e il personale diplomatico, spesso portando via anche cittadini di altri Paesi.

Dal 15 aprile la situazione non ha fatto che peggiorare, ci sono persone che restano intrappolate nei combattimenti e restano uccise. Non c’è alcun accesso agli aiuti umanitari. Se non si muore per i colpi d’arma da fuoco o nei bombardamenti, si morirà di fame”. A descrivere all’Agenzia Dire la situazione che la popolazione sudanese sta vivendo in queste ore è Mohammad, un abitante di Khartoum, che chiede di non diffondere il suo cognome per ragioni di sicurezza. Le ostilità scoppiate tra l’esercito nazionale e i paramilitari delle Forze di supporto rapido, riflesso della lotta per la leadership economica e militare tra i rispettivi leader Abdel Fattah al-Burhan e Mohammed Hamdan Dagalo, hanno “trasformato Khartoum in una città fantasma”, come ha detto alla stampa internazionale il presidente del Sindacato dei medici sudanesi, Atiya Abdalla Atiya.

In una nota il direttore di Amnesty International per l’Africa Orientale e Meridionale, Tigere Chagutah, riferisce che “negli ultimi giorni, i civili sono stati ancora una volta vittime di uccisioni dovute all’utilizzo di armi pesanti in aree densamente popolate. È scioccante che a vent’anni dall’inizio del conflitto nel Darfur le autorità sudanesi non riescano ancora a proteggere i civili o a indagare e perseguire i presunti responsabili dei crimini”. Il governo del Sudan, conclude Chagutah, “deve assolutamente cooperare con le indagini in corso della Corte penale internazionale sul Darfur, anche consegnando all’Aia l’ex presidente Omar Al-Bashir e altri imputati sospettati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità”.

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