Sessantacinque anni fa il Dalai Lama fuggì dal Tibet, la storia

Il 17 marzo del 1959 segnò un momento epocale per la storia del Tibet e del buddismo tibetano, quando il Dalai Lama, la massima autorità religiosa e politica della regione, iniziò la sua audace fuga da Lhasa, la capitale tibetana. Travestito da soldato e temendo per la propria vita a causa dell’invasione cinese, il Dalai Lama attraversò gli impervi passi dell’Himalaya per raggiungere il confine con l’India, dove chiese asilo. Questo evento segnò l’inizio di un lungo esilio per il Dalai Lama, che non è mai tornato in Tibet da allora.

Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai Lama, aveva all’epoca 23 anni. La sua fuga fu causata dall’invasione cinese del Tibet e dalla successiva repressione dell’esercito cinese, che portò alla scomparsa dell’autonomia tibetana. Nonostante un accordo iniziale che riconosceva una forma di autonomia tibetana, i confini di questa autonomia si ridussero progressivamente, scatenando una ribellione nel 1959. L’arrivo delle truppe cinesi a Lhasa portò il Dalai Lama a consultare l’oracolo tibetano e a decidere di fuggire.

La fuga del Dalai Lama fu un’impresa ardita che richiese due settimane di viaggio attraverso le montagne himalayane, con condizioni climatiche estreme e il costante rischio di essere individuati dalle truppe cinesi. Dopo una marcia notturna e attraverso vari passi montani, il Dalai Lama e la sua comitiva giunsero infine in India, dove ottennero asilo politico.

La notizia della fuga del Dalai Lama provocò un aumento delle ricerche da parte dell’esercito cinese e portò a una violenta repressione a Lhasa, con migliaia di morti e deportazioni. Il Dalai Lama fondò un governo in esilio a Dharamsala, noto anche come “Piccola Lhasa”, dove ha vissuto da allora.

Negli anni successivi, il Dalai Lama ha svolto un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione internazionale sulla causa tibetana, guadagnandosi il Premio Nobel per la Pace nel 1989. Nel 2011, annunciò la rinuncia al potere politico, aprendo la strada a elezioni per il governo tibetano in esilio.

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