Lombardia, così l’esautorato Fontana si fa comandare da Romano La Russa

palazzo Lombardia il potere non abita più al 35esimo piano. Si è trasferito di sotto, negli uffici di Romano La Russa. Persino i piddini citofonano all’assessore alla Sicurezza, teorico della malattia omosessuale («I gay possono essere curati», disse nel 2012), fan delle manganellate e pratico dei bracci tesi ai funerali. Ma, soprattutto, Fratello d’Italia e del presidente del Senato Ignazio. Lui prende le decisioni. E lui le detta, anzi le impone, al presidente Attilio Fontana. Come dicono i serpenti, ammettono i suoi storici adulatori e capisce benissimo Matteo Salvini, che non riesce e forse non vuole più proteggerlo, l’avvocato varesino è diventato un notaio senza nerbo, uno che firma e ratifica tutto ciò che passa per la scrivania di Romano La Russa. Che nei corridoi della Regione viene ormai soprannominato dalle malelingue il suo ventriloquo.

Le dimissioni che Fontana millanta con cadenza regolare, ogni 48 ore circa, vengono considerate flatus vocis dalle sue stesse segretarie. Le scene madri in Giunta sono all’ordine del giorno. L’impotenza (politica) del presidente innervosisce fuori, ma soprattutto dentro la Lega. La sua agenda viene ignorata un giorno dalla destra e l’altro dalla sinistra. Anche il presidente del Partito democratico lombardo Emilio Del Bono ha iniziato a presentarsi al 35esimo piano senza appuntamento insieme a Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione. Come dicono in Consiglio con un’espressione gentile, Attilio “ha perso la golden share“. Promette e non mantiene, il suo potere reale sta perdendo vistosamente peso. Tutto – inclusa la Cultura, affidata a Francesca Caruso – passa prima da Ignazio, quindi da Romano, zelante cinghia di trasmissione per ribadire chi comanda.

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