Così l’Italia fa un sacco di soldi vendendo armi

Non solo sfreccianti automobili e abiti alla moda, le fortune del Made in Italy passano anche dalla vendita di molte, moltissime armi. Un affare milionario in tempi di guerra, dal Medio Oriente all’Ucraina, passando per il continente africano, che con i suoi conflitti e le sue tensioni mai fa notizia alle nostre latitudini, se non per i tanti disperati che cercano una vita migliore in quegli stessi Paesi che di fatto finanziano la di loro disgrazia e le loro sofferenze.

La nuova gallina dalle uova d’oro dell’Italia è l’Ucraina. Kiev è diventato il secondo acquirente di armi italiane in pochissimo tempo, per un giro d’affari di 417 milioni di euro nel 2023, con la vendita soprattutto di munizioni e sistemi di difesa. Si tratta di armamenti venduti dalle aziende italiane, e la cifra non comprende quelle cedute all’Ucraina dal Ministero della Difesa. Il primo cliente italiano è la Francia, a cui vendiamo armi per 465 milioni di euro.

L’Italia ha aderito alla coalizione internazionale che cede”, e nonvende”, forniture militari all’Ucraina, a seguito dell’aggressione della Russia iniziata il 24 febbraio 2022. La differenza tra “cedere” e “vendere” è sostanziale, dato che con la cessione, consentita ex decreto dal governo Draghi, poi ripetutamente rinnovato dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, è possibile derogare ad alcune leggi, compresa la 185/1990, che vieta leesportazioni e il transito di materiale di armamento verso Paesi in stato di conflitto”. In tale cornice giuridica, l’Italia ha fornito a Kiev, a titolo dicessione non onerosa”, attingendo dalle riserve delle forze armate, armi per un valore di 2 miliardi di euro, inclusi i costi della logistica, pari al 10%. Anche per la vendita degli armamenti servirebbe una legge, che però non esiste: un particolare che non ha impedito un giro d’affari per l’industria bellica italiana di quasi mezzo miliardo nel 2023. Il tutto senza che nessuno abbia informato il Parlamento. Per precisa volontà del governo, che dinnanzi alla legge del nostro Paese ha fatto spallucce: “Ci sono gli accordi con gli alleati europei e atlantici che determinano la nostra politica estera”.

Frutto di rapporti commerciali diretti, con passaggi tramite dogane italiane, senza nemmeno far ricorso a Paesi terzi, la gran parte delle commesse di armi italiane per un giro d’affari con Kiev di 417 milioni di euro arriva dall’azienda Rheinmetall, multinazionale tedesca che, oltre a controllare l’ex azienda italiana Rwm, produce armi in Italia nel Bresciano e in Sardegna. Il colosso era già finito nell’occhio del ciclone, qualche anno fa, per aver inviato bombe negli Emirati Arabia Uniti e in Arabia Saudita, poi usate nella guerra civile yemenita; in ragione di ciò, il governo Conte I aveva revocato i contratti con la multinazionale tedesca, prontamente ripristinati da Meloni. In Italia il gruppo Rheinmetall ha raccolto 900 milioni di euro di ricavi lo scorso anno. Addirittura, Rwm è passata da 46 a 613 milioni di ricavi, anche perché produce una delle merci più ambite: proiettili di artiglieria da 155 millimetri, ordigni per l’aviazione. E il nostro Paese da Rheinmetall ha già prenotato i carri armati Leopard, per una cifra superiore agli 8 miliardi di euro.

Le armi Made in Italy arrivano poi copiose anche in Repubblica Ceca, che ne ha acquistate per sé e per l’Ucraina, per 96 milioni di euro. Raddoppiate anche le spese in Italia della Slovacchia, da 37 a 91 milioni di euro, dopo i 20mila pre-guerra in Ucraina. Decine di milioni di euro sono anche quelli che ha sborsato la Lituania, che negli ultimi anni con la Russia ha avuto crescenti tensioni. In aumento, ma non tanto quanto sono cresciuti gli introiti delle aziende della guerra del nostro Paese. Perché se “l’Italia ripudia la guerra”, di certo non rifiuta i guadagni che ne derivano.

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