Cosa ci dice la storica apertura degli inglesi al Bitcoin

Ventimila leghe sotto i mari. Ventimila, come il numero di monete virtuali presenti sul mercato. Ventimila leghe che però restano ancora sott’acqua: una nicchia per pochi, quasi fantascienza, anche se tutti ne parlano. Così se per bere un caffè, fare la spesa o andare in vacanza usiamo moneta sonante, lo stesso non si può dire per BitcoinEthereum e compagnia bella. Eppur si muove. Lentamente, infatti, questa innovazione tecnologica prosegue nel suo processo di diffusione, di popolarizzazione, di adozione. Ne leggiamo ogni giorno sui giornali, ne sentiamo discutere nei podcast, quando non tocca a noi polemizzarne sui social. E adesso è arrivata una grossa novità da Londra e dintorni.

È un processo che viene da lontano. I primi studi sulla tecnologia che tiene in piedi le criptovalute, ossia la blockchain, risalgono agli inizi degli Anni 90, un decennio che avrebbe cambiato tutto. Caduto il muro di Berlino, dalle nostre finestre cominciò a entrare aria fresca a spazzare via la cappa grigia della Guerra fredda. L’avvento di internet cominciò a trasformare per sempre il nostro modo di comunicare. Grazie ai voli low cost una nuova classe di nomadi digitali sperimentava nuove forme di lavoro da remoto e libertà. I movimenti di protesta cominciavano a portare in piazza la voce delle minoranze. Furono anni di apertura e ribellione, gli anni di Mtv, dell’hip-hop, dei Nirvana. Continua a leggere su L43

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