Il grande processo contro Google negli Stati Uniti

Ieri 12 settembre negli Stati Uniti è iniziato uno storico processo contro Google, accusata dal governo americano di aver abusato della propria posizione dominante nel settore della ricerca online. Questo è il primo processo antitrust avviato contro una grande azienda tecnologica da quello contro Microsoft del 1998, che portò enormi cambiamenti in tutto il settore.

Negli ultimi anni, secondo le stime del governo americano, Google ha conquistato una quota di mercato del 90% nella ricerca online negli Stati Uniti. Il dipartimento di Giustizia sostiene che Google abbia abusato illegalmente della propria superiorità economica per ottenere e mantenere il monopolio nel settore della ricerca online con il fine di danneggiare la concorrenza, eliminando così possibili innovazioni che avrebbero favorito i consumatori.

Il governo sostiene che l’azienda di Larry Page e Sergey Brin abbia stipulato accordi “esclusivi” con Apple e altre aziende, negando ai rivali l’accesso alle query di ricerca e ai clic e consentendo all’azienda di Mountain View di consolidare la propria posizione dominante sul mercato.

Grazie alla sua superiorità economica Google paga miliardi di dollari ad Apple per essere il motore di ricerca di default su tutti i prodotti di Cupertino, all’interno dell’app Safari. Google ha accordi economici anche con il browser Firefox, e ha dato in licenza gratuita il proprio sistema operativo Android alle principali aziende tecnologiche tra cui Samsung, LG, Xiaomi e Oppo che possono installarlo sui propri smartphone, pc e tablet con l’obbligo di installare per default le app di Google come Google Mail, Google Maps, Google Chrome, YouTube, e molte altre.

Google vede le cose in modo molto diverso. L’azienda, che sostiene di non aver violato la legge antitrust, ha affermato in una sentenza del tribunale di gennaio che i suoi accordi sui browser erano “concorrenza legittima” e non “esclusione illecita”. Piuttosto, i produttori di telefoni e browser web impostano la ricerca di Google come predefinita perché volevano offrire ai propri clienti un’esperienza di “massima qualità”, ha affermato Google.

In ogni caso, grazie a questi accordi commerciali Google non solo si assicura che quando c’è da fare una ricerca online il suo browser sia la scelta automatica per la maggior parte degli utenti, ma il monopolio assicura al gigante del web anche un’estrazione di dati ricavati dalle attività degli utenti che utilizzano queste app che è senza pari.

Queste attività permettono a Google di ottenere quello che Shoshanna Zuboff, sociologa americana e autrice de “Il capitalismo della sorveglianza“, definisce come “surplus comportamentale“. Quest’ultimo è l’insieme dei dati sulle esperienze, le abitudini, le caratteristiche personali e molto altro, che Google utilizza come materia prima da trasformare in prodotti predittivi dei comportamenti, i quali verrano venduti ad altre aziende che li utilizzeranno per vendere i propri prodotti grazie a un metodo di targetizzazione personalizzato sui vari consumatori.

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