USA, lo stallo e i rischi ora che McCarthy non è più speaker

Non era mai successo che lo speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti fosse destituito con una mozione di sfiducia. L’ingrato compito di scrivere la storia è toccato al repubblicano Kevin McCarthy, rimosso con un voto voluto dall’ala più radicale del suo stesso partito e in particolare promosso dal deputato Matt Gaetz, fedelissimo di Donald Trump ed esponente di una fronda legata al tycoon che lo aveva accusato di aver collaborato con i democratici per evitare (come è poi successo) lo shutdown, cioè la parziale chiusura delle attività del governo federale statunitense. La caduta di McCarthy conferma la presa di Trump sul Grand Old Party e ne allunga l’ombra sulla Casa Bianca, gettando la Camera nel caos e paralizzando di fatto la politica del Paese.

Sono bastati otto deputati dell’Elefantino per far crollare la risicata maggioranza di McCarthy alla Camera, visto che i democratici non gli hanno teso la mano: oltre a Gaetz, rispondono ai nomi di Andy Biggs, Ken Buck, Tim Burchett, Eli Crane, Bob Good, Nancy Mace e Matt Rosendale, tutti esponenti dell’ala ultra conservatrice del partito. “Oggi ho perso una votazione, ma ho combattuto per ciò in cui credo e io credo nell’America”, ha dichiarato McCarthy, sottolineando di “non essere pentito per aver negoziato” con i parlamentari dell’Asinello: “Mi è stato insegnato come risolvere i problemi, non come crearli”. Era stato eletto speaker della Camera dei Rappresentanti il 7 gennaio 2023, al termine di un lunghissimo stallo dovuto alle tensioni interne ai repubblicani: furono necessarie 15 votazioni, mai così tante dal 1859.

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